Mentre c’è chi rimane deluso, chi invece parzialmente soddisfatto dalla proposta riguardante la tassa sulla produzione della plastica inserita nella manovra finanziaria italiana, che abbassa a 0,49 centesimi di Euro per chilogrammo la famigerata Plastic Tax (che verrà applicata da luglio 2020), il tema della riduzione della plastica (e dei rifiuti in generale) rimane caldo.
“Compra, compra!”, dice il cartello in vetrina. “Perché, perché?”, dice la spazzatura nel cortile.
(Paul McCartney)
Il problema principale resta quello di un necessario e non ipocrita cambio di mentalità: abbiamo bisogno di osservare il problema da una prospettiva nuova, che ci costringa a dare un valore differente alle nostre scelte e alle nostre comodità, partendo da acquisti maggiormente consapevoli. Ridurre la plastica usa e getta significa essere attenti alle proprie abitudini e pronti a cambiarle per un fine importante come la salvaguardia del pianeta, anche a costo di “rinunciare” alle comodità a cui siamo stati abituati e indottrinati da decenni dalla cultura consumista.
Le scelte sostenibili dei cittadini nella loro vita quotidiana sono molto importanti, ma se ogni anno nel mondo almeno 8 milioni di tonnellate di plastica – per lo più oggetti monouso – finiscono negli oceani, è chiaro che lo sforzo compiuto fino ad ora dovrà essere necessariamente aumentato. Basta pensare che in Emilia-Romagna – tra le regioni più virtuose nella raccolta differenziata dei rifiuti – il tasso di riciclaggio effettivo della plastica è del 22% (il resto finisce in discarica o nell’inceneritore), per comprendere che la strada verso un’impronta ambientale più leggera è ancora lunga persino per chi si sta già impegnando per invertire la rotta.
Esempi positivi sono numerosi anche nel resto d’Europa: l’associazione olandese Plastic Whale raccoglie i rifiuti plastici nei canali di Amsterdam, coinvolgendo studenti e turisti, e utilizza poi tali rifiuti per costruire nuovi oggetti riciclati (tra cui le barche per viaggiare lungo i canali e continuare il proprio lavoro!), a dimostrazione che, in attesa che i governi prendano seri provvedimenti a riguardo, un’azione che parta dal basso è fattibile e anche auspicabile.
Ancora prima di “differenziare”, “ridurre” è la parola d’ordine, ma che fare quando ciò non è possibile? Eventi pubblici e feste private spesso rischiano di diventare gigantesche produzioni di rifiuti, se gli organizzatori non si preoccupano di ragionare in un’ottica amica dell’ambiente.
Qualora l’utilizzo delle cosiddette “bioplastiche” risultasse necessario, va ricordato che il termine significa “plastica a base bio”, che non vuole dire “biodegradabile”, almeno non al 100%; una distinzione non da poco, poiché le bioplastiche hanno sì tempi di degradazione molto più rapidi rispetto alle plastiche convenzionali (polietilene, polipropilene, PET non a base bio) poiché contengono materiali che sono effettivamente biodegradabili e sono dunque facilmente riciclabili (ed utilizzabili per produrre fertilizzanti agricoli), ma è anche vero che presentano aspetti controversi da non sottovalutare.
Se davvero partissero una produzione ed un utilizzo massivi di bioplastiche di origine non fossile, si porrebbe il problema delle grandi coltivazioni di mais e di altri prodotti vegetali necessari alla produzione delle stesse (spesso e volentieri coltivazioni tradizionali, che fanno uso di fertilizzanti chimici e semi OGM), che porterebbero ad una riduzione necessaria delle coltivazioni destinate all’alimentazione umana ed animale, con conseguenze non banali per le popolazioni del pianeta. Una soluzione potrebbe essere quella di produrre le bioplastiche dagli scarti delle coltivazioni alimentari, ma ad oggi sono davvero poche le realtà così virtuose.
Inoltre, va ricordato che il trasporto delle biomasse necessarie alla produzione delle plastiche biodegradabili è causa d’inquinamento: dunque, una produzione virtuosa, ma non nell’interezza della filiera.
Il dibattito è evidentemente complesso, ma a nostro avviso la cosa più importante resta diffondere consapevolezza e informazione, per poter permettere ai cittadini di comprendere i reali costi di un modello di consumo basato sull’usa e getta, che non riduce i rifiuti alla base, spostando piuttosto il problema ad un altro livello, senza razionalizzare le conseguenze da esso derivate.
Come ha risposto di recente Luca Mercalli, meteorologo che da tempo si occupa di clima ed ambiente anche dal punto di vista di coscienza ambientale, alla domanda: qual è il modo migliore per ridurre i rifiuti?
“Non farli!”.
References:
https://www.iltempo.it/politica/2019/12/06/news/manovra-accordo-plastic-tax-a-luglio-1252235/
https://www.terranuova.it/Il-Mensile/Plastic-Whale-ripescare-i-rifiuti-per-l-economia-circolare